Malattie trombofiliche

L’ emicrania è una malattia molto diffusa che colpisce in media il 18% della popolazione generale, e nei 2/3 dei casi donne. Già da diversi anni è emerso il concetto che essa sia correlata a malattie circolatorie come ictus e infarto, soprattutto quando si tratta di emicrania con aura. Nell’ultimo decennio sono stati fatti vari studi per cercare di capire se e quale fosse il meccanismo circolatorio correlato. Tra questi, sono state studiate anche le malattie ematologiche trombofiliche.

In questo ambito gli studi vertono su alterazioni dei fattori della coagulazione, delle proteine coagulative, dell’omocisteina con le varianti MTHFR, e delle alterazioni coagulative autoimmuni, come gli anticorpi antifosfolipidi. I dati ad oggi disponibili sono a volte difficili da interpretare. Il primo problema è che le alterazioni della coagulazione hanno generalmente una prevalenza bassa e questo implica che vengano studiate popolazioni abbastanza numerose. Il secondo problema è che alcune di queste alterazioni sono a base genetica e altre a base immunitaria, per cui la scelta della popolazione da studiare e di quella di controllo deve essere fatta considerando la co-presenza di situazioni che possono condizionare erroneamente l’interpretazione dei dati. Un terzo problema, che riguarda soprattutto le alterazioni coagulative di tipo autoimmune, è la diversa sensibilità dei reattivi di laboratorio disponibili e i criteri di positività dei test stessi.Per valutare tutto ciò è opportuno effettuare quindi studi di popolazione con una corretta numerosità a seconda del deficit da studiare. Un’altra possibilità è valutare la numerosità delle segnalazioni di deficit trombofilici nei registri di malattia.


Il primo vasto registro internazionale che correla la coagulazione con la cefalea è il registro Europeo APS, la sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Dai loro dati risulta che generalmente il primo e più frequente sintomi di APS è a cefalea, che dalle caratteristiche descritte è classificabile più probabilmente come emicrania. La cefalea è un sintomo così rilevante nell’APS da aver indotto gli ematologi esperti a consigliare di effettuare i test per gli anticorpi-antifosfolipidi (aPL) nei pazienti che si presentano con cefalee severe. Un'altra banca dati importante è quella italiana sulle malattie rare. In Italia da quasi 10 anni sono stati attivati dall’istituto superiore di sanità i registri regionali delle malattie rare.

Al di là del fatto che in parte si possa trattare di cefalee secondarie e non di emicrania, i lavori più recenti fatti sugli emicranici correlano tali alterazioni proprio con l’emicrania, potendo quindi presumere che tali patologie siano tra loro co-morbide.

Tra i fattori protrombotici della coagulazione, sono stati studiati i fattori II, V, VII, VIII, IX e il von Willebrand. Diversi studi hanno indagato le mutazioni del fattore secondo, sia nei bambini che negli adulti, ma si tratta di studi piccoli ove spesso i criteri di selezione sono scarsamente descritti, ma le conclusioni sono analoghe e convergono sul fatto che non vi siano differenze di prevalenza di mutazione del fattore II negli emicranici rispetto ai controlli di riferimento. Un recente studio di popolazione francese è invece a sostegno di un aumento di mutazioni del fattore II insieme al fattore V nelle donne affette da emicrania con aura; questo studio però può avere un bias di selezione, in quanto ha indagato una popolazione di donne con familiarità per trombosi venose e arteriose. Singole segnalazioni sono disponibili su alterazioni del fattore VI, che non pare essere rilevante, e sui fattori di von Willebrand, dei fattori VIII e IX, e diversi alloantigeni del sistema piastrinico, argomento che potrebbe essere interessante rivalutare più approfonditamente. Gli studi che hanno preso in considerazione il fattore V di Leyden sono più numerosi, ma anche in questo caso sono state considerate popolazioni poco rappresentative. Relativamente al fattore V i risultati sono controversi. Inoltre, in alcuni casi è stata considerata la mutazione eterozigote e in altri la sola mutazione omozigote. Questo sembra il fattore più interessante e meritevole di ulteriori approfondimenti, ma è auspicabile che venga effettuato uno studio con una numerosità adeguata e criteri di selezione sia di laboratorio che dei pazienti molto rigida.

Poco ancora si è capito sui deficit delle proteine C e S coagulante. Il problema principale dello studiare la proteina C coagulante è la bassa prevalenza nella popolazione generale, circa lo 0.4%, per cui servirebbero studi ampi per definire eventuali differenze tra gli emicranici e i controlli sani. Gli studi disponibili sono tutti molto piccoli per darne un’interpretazione sensata. I deficit di proteina S coagulante, sono più frequenti, ma più complessi da studiare per vari motivi. Innanzi tutto devono essere ben chiariti i metodi di laboratorio, la sensibilità dei kit di laboratorio utilizzati, e se vengono prese in considerazione la proteina S totale o la frazione libera, elementi necessari per poter criticamente interpretare il significato dei valori ottenuti e il tipo di deficit rilevati. Sarebbe opportuno differenziare i deficit genetici da quelli acquisiti, che possono avere diverso significato clinico oltre che avere un diversa patogenesi. Infatti mentre per i deficit genetici la diagnosi è più semplice e i valori di S coagulante stabili, non è così per i deficit acquisiti. Bisogna considerare ed escludere i deficit iatrogeni, come ad esempio l’uso di anticoagulanti o di estrogeni di vecchia classe, e il fisiologico calo di proteina S coagulante in gravidanza, onde evitare errori di diagnosi. A complicare tutto ci sono i deficit di proteina S autoimmuni, in cui il livello della proteina S può fluttuare nel tempo, in modo inversamente proporzionale alla quantità di anticorpi anti S. La prevalenza complessiva è maggiore, e quindi la numerosità degli studi può essere ridotta, ma conviene considerare gruppi di almeno un centinaio di persone per gruppo. I pochi studi fatti sull’argomento hanno dato risultati contrastanti, ma solo uno in realtà aveva una numerosità e dei criteri di selezione complessivamente migliori, tanto da rendere più attendibili i risultati che depongono per una maggior prevalenza di deficit di S coagulante negli emicranici. Questi dati potrebbero essere ancora più importanti in considerazione delle correlazioni tra estrogeni, emicrania e stroke.

Restando sulle alterazioni di tipo autoimmune, nell’ultimo ventennio è sempre più cresciuto l’interesse nei confronti della sindrome da anticorpi antifosfolipidi e negli anni sono stati pubblicati vari articoli alla ricerca di una correlazione tra questi e l’emicrania. La principale difficoltà sull’argomento è legata a due problemi: i criteri diagnostici di positività dei test sugli anticorpi antifosfolipidi; i diversi kit di laboratorio utilizzati che presentano una grande variabilità di sensibilità e specificità. I criteri ad oggi accettati sono ancora quelli definiti nelle linee guida per la diagnosi di APS di Miakys. Al di là del rischio trombotico, il loro legame con l’emicrania pare supportato dagli unici due lavori che hanno rispettato tali criteri. In entrambi gli studi, uno condotto sui bambini e l’altro sugli adulti, si conferma una maggior prevalenza di positività degli aPL negli emicranici rispetto ai controlli sani di riferimento, prevalenza che si attesta al 5% nei bambini e al 12% negli adulti emicranici.

L’interesse per l’iperomocisteinemia e le varianti MTHFR è stato maggiore. Anche in questo ambito i risultati sono contrastanti. Negli anni passati si è inteso che parlare di iperomocisteinemia o di MTHFR fosse equivalente, ma così non è, dato che l’iperomocisteinemia può essere causata da vari altri fattori.  Lo studio di MTHFR può avere un interesse più speculativo nell’ambito della ricerca dei polimorfismi negli emicranici, ma gli aspetti pratici di tale riscontro sono ancora nebulosi. Alcuni autori hanno riscontrato un aumento di omocisteina plasmatica negli emicranici con aura, non confermata in studi di popolazione più vasti. Una maggior frequenza di variante C677T dell’MTHFR è stata correlata all’emicrania con aura. Il dosaggio di omocisteinemia è stato effettuato anche su liquor, e Isobe ha riscontrato  che nei pazienti il livello è nettamente aumentato rispetto ai controlli, soprattutto nei pazienti con emicrania con aura. Date le segnalazioni di un possibile legame tra emicrania e iperomocisteinemia e/o variante MTHFR, alcuni autori hanno  provato a somministrare una terapia standard polivitaminica a base di ac. Folico, e vitamine del gruppo B a pazienti con emicrania, e hanno ottenuto risultati molto promettenti.

In conclusione, tutti questi aspetti suggeriscono che questo sia un campo meritevole di ulteriori approfondimenti tramite studi condotti in modo molto rigido e su campioni sufficientemente numerosi. Un altro aspetto estremamente importante è valutare l’impatto che avrebbero sull’emicrania le terapie che verrebbero instaurate per i vari difetti trombofilici, terapie generalmente facili da assumere e a basso costo.