Nutrire corpo e anima

- M. Grazia Ciofani -

panzallaria.com è il dominio di Francesca Sanzo, vi raccoglie tutti i post del blog aperto nel 2005 dedicati a dieta, movimento, creatività. Blogger e  autrice del libro “102 chili sull’anima” (Giraldi Editore), nel libro racconta la profonda muta che le ha permesso il cambiamento, un benessere che è movimento e contrasto alla sedentarietà fisica e mentale. 40 chili persi e raccontati, “E’ scattata l’ora X: sono a dieta” è soltanto uno dei primi post di Panzallaria in cui snocciola riflessioni importanti sulla sua esperienza, a partire dal riconoscimento del disagio che ormai provava con se stessa. Dopo aver messo tanto a lungo la testa sotto la sabbia si ritrova a fare i conti con parecchi impedimenti fisici e con alcune malattie allergiche peggiorate anche a causa del troppo peso. Ha cominciato a pensare che, pesante com’era, non avrebbe potuto fare molte cose, in primis girare l’Europa in camper e bicicletta come sognava per la voglia di libertà, e si è coraggiosamente consapevolizzata di quanto lontana fosse dall’essere davvero libera.

Ha accettato il fatto che per lei il rapporto con il cibo era un punto debole, e smetterla di  pensare a fare la gara con se stessa per dimagrire, ma cambiare stile di vita PER SEMPRE. Qualcuno è debole di schiena, qualcuno non sente bene, lei aveva un rapporto problematico con il cibo, ha imparato a farsene una ragione e a comportarsi sempre di conseguenza. Ha dato un nome alla sua anima nera (quella che la spingeva a rimpinguare il suo zainetto protettivo di ciccia) e poi ha cominciato a parlarle. Una dieta si è così trasformata in una vera e propria muta, a partire dall’ammettere che ci sono motivi sotterranei al suo approccio compensativo verso il cibo.

Dunque la sensazione di “ora o mai più” diventa incombente, ma quanto è importante vivere la necessità di dimagrire come una questione di salute, più che di estetica? Perché, finché la si vede come una necessità estetica, si trovano sempre qualità che compensano. Quando finalmente si accetta che è un problema diverso, di salute fisica e mentale, qualcosa scatta. Si può scegliere di volersi bene, cambia il modo di autorappresentarsi internamente ed esternamente. Si migliora per se stessi, ci si dedica attenzioni che prevedono il guardarsi di più.

Durante la “muta” si usa una nuova narrativa per raccontarsi, il modo in cui ci narriamo modella larga parte di quello che siamo e una narrativa positiva è forse l’unico modo per uscire dalle sabbie mobili in cui, ciclicamente, si caccia ogni persona.

Le persone obese non “nominano” mai il loro stato: da una parte ci si sente in sovrappeso e si rimanda sempre il momento per pensarci sul serio, dall’altra ci si giustifica sgridandosi e pensando che mangiare sia l’unica cosa che – davvero – riesca a far stare bene.

Una dieta vera, per funzionare, deve partire da testa e cuore, altrimenti rimane solo un percorso con un obiettivo e non è detto che – raggiunto l’obiettivo – si abbia voglia di mantenerlo, e poi perché, per cambiare davvero il proprio rapporto con il cibo e con il corpo, bisogna mutare approccio al mondo, accettare profondamente se stessi. Una dieta è un momento, una muta è radicale.

Significativa, al riguardo, la storia di C.: affetta da crisi emicraniche, diabetica e al limite della rassegnazione all'obesità, vive il suo corpo come un nemico da combattere e ritiene di necessitare di qualcuno che la bacchetti e le imponga la dieta, cioè crede di poter affrontare la dieta solo come un dovere. La fase iniziale del percorso con questa giovane donna, peraltro tedesca, è stata orientata alla comprensione del fatto che il lavoro di una siffatta signorina Rottermeier prima o poi  sarebbe terminato, e che l'unica  governante a vita che avrebbe potuto sovrintendere alla sua educazione era lei stessa. Cruciale per la paziente il passaggio dal “devo seguire una dieta” al “voglio seguire una dieta e posso farlo”, che ha aperto una dimensione affettiva nei suoi stessi confronti inedita fino a quel momento. Iniziare a volersi bene, ad accettare di essere inciampata in qualcosa che neppure apparentemente la gratificava e la faceva stare bene è stato il passaggio cruciale per poi arrivare ad accogliere il cambiamento. Significativo anche il momento del dono a sé, del per-dono per i maltrattamenti inferti per punizione rispetto al percepirsi profondamente inadeguata, e successiva pacificazione con quella parte di sé più distruttiva che le ricorda che non vale niente, pacificazione possibile proprio perché non più agìta acriticamente ma accolta, rassicurata rispetto alle paure del cambiamento. Soprattutto la paura del fallimento è enorme, non si riflette sul fatto che non siamo aziende che possono fallire ma esseri umani che procedono per tentativi ed errori, che sperimentano esperienze e ne traggono insegnamenti. Errori come tappe sulla via dell’apprendimento, senza pretese di perfezione. Siamo tutti perfettibili, nessuno è perfetto. Il fallimento è socialmente sopravvalutato, addirittura si sentono ventenni esprimere la paura di fallire invece che essere catapultati nella vita. Fino a quando si è vivi, non è mai troppo tardi per nulla e a volte basta non ascoltare le troppe pressioni sociali, e cambiare così il modo in cui ci narriamo a noi stessi, e il percorso è già iniziato.

Sorprendersi, divertirsi, aver cura della nostra anima e del nostro corpo, amarsi e rispettarsi.

Di vera e propria rieducazione impegnativa si tratta, per questo non è possibile arrivare al successo se non con una forte motivazione, e certamente l’amore per se stessi può essere tale.

L’obesità da malfunzionamento dei sistemi omeostatici a base di leptina riguarda un numero esiguo di casi. L’obesità e il sovrappeso non sono a carattere omeostatico ma concernono l’incapacità di gestire gli ordini che vengono dai circuiti di reward.

Non c’è solo l’omeostasi energetica, l’ipotalamo comunica continuamente con strutture più elevate

e soprattutto coi circuiti di reward: la piacevolezza soggettiva che riferisco di un certo alimento è correlata linearmente con l’attività dopaminergica di aree che appartengono al corpo striato, e poi  la corteccia pre-frontale cerca di inibire i comportamenti di incentivazione motivazionale e di risposta condizionata. L’obesità non è pertanto un problema omeostatico ma motivazionale, di controllo sui meccanismi incentivanti del comportamento, di condizionamento comportamentale così forte da non riuscire ad evitare il ricorso compulsivo al cibo in una società nella quale il cibo è facilmente raggiungibile. E’ possibile, dicono le neuroscienze,  che i circuiti cerebrali, evolutisi per favorire il raggiungimento di cibo, siano maladattabili ad una società di consumo alimentare come l’attuale. Problema cioè di food addiction, di maladattamento dei circuiti di gratificazione a un ambiente che non offre più le stesse pressioni selettive di un tempo. Evoluzionisticamente i nostri antenati non avevano possibilità di trovare cibo calorico, grasso, zuccherino. Quando lo trovavano, dovevano avere una motivazione molto forte per prenderlo e mangiarlo perché altrimenti chissà se e quando ne avrebbero trovato altro. Dunque significato adattativo straordinario. Pur avendo a disposizione tanto cibo grasso, zuccherino, etc. (ma abbiamo un cervello selezionato da una pressione evolutiva che diceva di mangiare oggi più cibo calorico possibile, perché poi chissà se ce ne sarebbe mai stato altro), abbiamo un organismo con pressioni evolutive molto diverse, tanto che pure dopo un pasto abbondante lo spazio per un pezzettino di dolce lo troviamo. Tutto questo è allostatico, non  è omeostatico (= raggiunto quello che serve per pareggiare i bisogni, ci si ferma).  L’ipotalamo, a capo della regolazione omeostatica classica, è molto importante nella regolazione del food intake, del bilancio energetico.

Le neuroscienze mostrano che in fRMI, insieme all’aumento dell’attività dei circuiti di reward di fronte ad immagini di cibi succulenti, nelle donne obese si registra una minore attività della corteccia pre-frontale, che controlla il comportamento impulsivo e presiede alle funzioni esecutive: non soltanto dunque le zone cerebrali (amigdala, nucleo accumbens, striato ventrale, insula, corteccia orbito-frontale, etc.) importanti nella partecipazione emotiva agli stimoli presentati hanno una maggiore attivazione quando le donne obese guardano cibi succulenti, rispetto a quanto accade nel cervello delle donne normopeso del gruppo di controllo, cioè non soltanto si registra un’accensione smodata delle aree del reward ma anche non si accendono le aree pre-frontali, non riescono cioè a contenere gli impulsi prepotenti incentivanti verso il cibo. Inoltre, diminuzione dell’attività dopaminergica nel corpo striato del soggetto obeso, down-regulation, è così frequente per lui la risposta dopaminergica che il cibo in sé quando arriva non dà lo stesso piacere che dà a un soggetto normopeso, quindi paradossalmente il controllo del soggetto normopeso dà un liking maggiore alla ricezione del cibo mentre la persona obesa è incentivata al wanting ma non è così gratificata, tanto wanting e poco liking. Questa è la dinamica della dipendenza: si associa il cibo a qualcosa di cui non si può fare a meno, così non è quel cibo in sé che dà piacere ma è lo stimolo che si associa ad esso che è ineludibile (wanting = voglio ottenere quella cosa indipendente dal fatto che sia un oggetto di per sé gratificante, non è piacere, non è liking). Più aumenta l’indice di massa corporea (BMI) più diminuisce l’accensione del nucleo caudato, del corpo striato, alla consumazione dei cibi calorici: il wanting è forte ma il piacere, il liking relativo all’atto consumatorio, è relativamente basso. Regressione lineare: diminuisce la % di BMI e aumenta l’accensione del corpo striato al consumo di cibo, pertanto l’obeso meno mangia, più piacere ha. Rincorsa al piacere consumatorio ma paradossalmente perdere peso in un anno aumenta la gratificazione alla consumazione del cibo, si accende il nucleo accumbens.

Il soggetto obeso pertanto potrebbe avere più piacere nell’immaginare il cibo (visualizzazioni) perché l’atto consumatorio dà meno piacere. Allenamento dei circuiti esecutivi, imaging per rimodulare l’atteggiamento di compulsione, il wanting: potrebbero essere questi gli obiettivi di apposite visualizzazioni guidate sul cibo, per accrescere la resistenza ad esso o per creare frustrazioni ed allenarsi a tollerarle.

Riferimenti bibliografici

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